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Chennai

Dicembre  1994: partii per l’India trascinandomi dietro figlio e marito.  Arrivammo a Varanasi dove presi lezione da Mangala Tivari e dopo dieci giorni affrontammo il viaggio in treno di 48 ore per arrivare a Madras ritornata al suo nome originale “Chennai”.    Era la fine dell’anno, la città intera pulsava immersa in un grande fermento artistico con festival e conferenze, lì abitava Sir Sitarama Sharma, un affermato cantante e compositore di musica Karnatika che mi era stato indicato da Savitri Nayr, l’insegnante di Bharat Natyam della fondazione Cini, riuscii a contattarlo e lui mi riservò un ora al giorno del suo prezioso tempo. Dopo la lezione ascoltavo tutto il giorno la registrazione per memorizzare le composizioni che Nuria Sala Grau, un amica danzatrice, mi aveva chiesto di imparare per lei. Mi lasciavo avvolgere e nutrire dalla sua voce che mi trasportava nel modo fantastico che queste melodie evocano, cantava sempre con me e mi lasciava solo qualche momento per accertarsi che avessi studiato. Qualche giorno dopo mi confessò che mi aveva accettato con la riserva di allontanarmi se avesse visto che non rendevo abbastanza, aveva paura di sprecare il suo tempo con me e mi raccontò che gli allievi indiani erano molto più pigri e gli davano poca soddisfazione.
Immagine anteprima YouTubeLa prima volta che vidi la Kalakshetra, la scuola d’arte governativa, fu un’emozione fortissima, un parco enorme con le aule seminate sotto alberi secolari e cascate di bouganville. Un paradiso per gli studenti che hanno la fortuna di potersi formare lì.

Tornai  successivamente in agosto del 1996: ero riuscita a ricavare  un mese di tempo e Sir Sitarama Sharma mi invitò a trascorrerlo a casa sua chiedendomi, come compenso, quello che era nelle mie possibilità. Fu un’esperienza molto bella e intensa, mi dava lezione tutte le mattine dalle sette alle otto, poi faceva colazione, la puja e partiva per andare alla sua scuola. Io rimanevo a casa ad ascoltare le registrazione e a trascriverle, uscivo solo al pomeriggio per una passeggiata in riva all’oceano rigorosamente con le cuffiette all’orecchio. Non dovevo preoccuparmi di nient’altro se non studiare e imparai alcune coreografie che Nuria mi aveva chiesto. Purtroppo un giorno Guruji scoprì che Nuria era allieva di Kamalarani , maestra di Natuvangam e  sua antica rivale;  da quel momento cambiò atteggiamento nei miei confronti, voleva che facessi solo il training di canto karnatiko e non voleva più insegnarmi le composizioni. Fu un momento molto difficile, alla fine riuscii a convincerlo e lui acconsentì ma da quel momento tutto cambiò, non mi venne più in aiuto e lo sentii freddo e distaccato.

Nel febbraio 1999 tornai a Cennay e cercai un altro insegnante: Hari Prasad era un cantante in carriera molto più giovane, non fece alcuna obiezione quando gli domandai di insegnarmi alcune coreografie, in cambio mi chiese una bella cifra per ogni lezione che pagai senza discutere. Le composizioni sono beni preziosi e le imparai con gioia anche se mercificate così, quasi senza rispetto, ma la differenza di trasmissione tra lui e Sir Sharma era abissale. Non avevo avuto altra scelta per imparare quello che desideravo; fortunatamente così ebbi la possibilità di frequentare e prendere qualche lezione di natuvanar con Kamalarani.
Lei abitava proprio nel parco della Kalakshetra, più che una maestra nei suoi modi diretti e aspri appariva come un gendarme con una voce dal tono basso e profondo maturato in anni di insegnamento e di concerti. Ma il suo aspetto mutava appena mi sedevo di fronte a lei, aveva degli occhi intensi e mi guardava con tanto amore mentre mi insegnava i Jati dei Varnam che stavo studiando.
In quel periodo avevo affittato una stanza con un’amica a Mammalipuram e ogni giorno prendevo il bus per andare a Chennay, mi separavano 70 chilometri che percorrevo pazientemente all’andata e al ritorno sopportando le infinite buche che facevano sobbalzare il bus, e con lui tutte le cervicali degli umani che l’affollavano, gli schiamazzi di animali, le strombettate continue e laceranti degli autisti e di ogni mezzo che si incrociava o sorpassava. In cambio, però, avevo la possibilità di assistere a dei veri e propri film: non scorderò mai il bigliettaio, trafficava tutto il tempo con i suoi pezzettini di carta stampati solo a metà pronti a testimoniare i chilometri a seconda del colore, le sue mani erano sempre intente a strappare scrivere raccogliere e restituire denaro sfidando il vento, (non ho ma visto un bus con porte e finestrini chiusi) i sobbalzi e la ressa. Ogni volta che arrivavo alla Kalakshetra mi sembrava di aver affrontato un’avventura.